A seguito della legge 14 luglio 2017 n. 110, pubblicata in Gazzetta Ufficiale lo scorso 18 luglio, intitolata “Introduzione del delitto di tortura nell’ordinamento italiano”, il Libro II, Titolo XII, Capo III, Sezione III del Codice Penale è stato arricchito di due nuove fattispecie delittuose.
Fra i delitti contro la persona, sono stati inseriti gli articolo 613 bis (Tortura) e 613 ter (Istitgazione del pubblico ufficiale a commettere tortura).
La prima norma prevede testualmente: “Chiunque, con violenze o minacce gravi, ovvero agendo con crudeltà, cagiona acute sofferenze fisiche o un verificabile trauma psichico a una persona privata della libertà personale o affidata alla sua custodia, potestà, vigilanza, controllo, cura o assistenza, ovvero che si trovi in condizioni di minorata difesa, è punito con la pena della reclusione da quattro a dieci anni se il fatto è commesso mediante più condotte ovvero se comporta un trattamento inumano e degradante per la dignità della persona.
Se i fatti di cui al primo comma sono commessi da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio, con abuso dei poteri o in violazione dei doveri inerenti
alla funzione o al servizio, la pena è della reclusione da cinque a dodici anni.
Il comma precedente non si applica nel caso di sofferenze risultanti unicamente dall’esecuzione di legittime misure privative o limitative di diritti.
Se dai fatti di cui al primo comma deriva una lesione personale le pene di cui ai commi precedenti sono aumentate; se ne deriva una lesione personale grave sono aumentate di un terzo e se ne deriva una lesione personale gravissima sono aumentate della metà.
Se dai fatti di cui al primo comma deriva la morte quale conseguenza non voluta, la pena è della reclusione di anni trenta. Se il colpevole cagiona volontariamente la morte, la pena è dell’ergastolo.”
La seconda, invece: “Il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio il quale, nell’esercizio delle funzioni o del servizio, istiga in modo concretamente idoneo altro pubblico ufficiale o altro incaricato di un pubblico servizio a commettere il delitto di tortura, se l’istigazione non è accolta ovvero se l’istigazione è accolta ma il delitto non è commesso, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.”
Un’importante modifica è stata apportata anche all’articolo 191 del Codice di Procedura Penale, in materia di prove illegittimamente acquisite, inserendo un comma 2 bis, ai sensi del quale: “Le dichiarazioni o le informazioni ottenute mediante il delitto di tortura non sono comunque utilizzabili,
salvo che contro le persone accusate di tale delitto e al
solo fine di provarne la responsabilità penale.”
La legge 110/2017 è intevenuta anche sul decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286, inserendo nell’ambito dell’articolo 19, comma 1, il divieto di respingimento, espulsione o l’estradizione di una persona verso uno Stato, nell’ipotesi in cui vi siano fondati motivi per ritenere che la stessa possa essere sottoposta a tortura, tenendo conto anche dell’esistenza, in tale Stato, di gravi e sistematiche violazioni dei diritti umani.
Inoltre, agli stranieri sottoposti a procedimenti penali o condannati per il reato di tortura in un altro Paese o da un tribunale internazionale, non potrà essere riconosciuta alcuna forma di immunità e in caso di richiesta da parte dello Stato in cui è in corso il procedimento penale o è stata pronunciata condanna, potrà essere estradato, nel rispetto delle norme interne e dei trattati internazionali.